1919. L’anno in cui (ri)cominciò il diritto del lavoro*

Scarica il PDF


1. Inverno

Il Capodanno di cento anni fa fu il primo di pace dopo tanti anni di una guerra sanguinosa, come mai prima di allora si era vista, i cui effetti erano destinati ad essere devastanti, molto al di là di quello che poteva apparire al momento. Quasi per forza d’inerzia, il 1919 portò un rivolgimento globale del mondo in cui si era più o meno tranquillamente vissuti per decenni in Europa prima della grande catastrofe, quelli di una frivola belle époque, che in realtà fu tale solo per i pochi che bighellonavano spensieratamente tra salotti e café chantant. Gli storici, prendendo spunto dal titolo di un saggio di Pietro Nenni1, usano il termine “diciannovismo” per lo più come sinonimo di disordine, massimalismo, eversione irrazionale2. Al di là di tutto, il 1919 fu, comunque, l’anno in cui tante cose ricominciarono daccapo; e, in questo scenario, un piccolo posto l’occupò anche il diritto del lavoro italiano. Ma andiamo per ordine, procedendo cronologicamente.
Innanzitutto, la pace in Europa era, per la verità, assai relativa: essendo crollati quattro grandi imperi – russo, tedesco, austro-ungarico, ottomano –, nel 1919 si combattevano ancora numerosissimi conflitti locali, per motivi di confine, di etnia, di religione, di politica. Le posizioni politiche, in particolare, si presentavano dappertutto in maniera molto più radicalizzata rispetto a prima della guerra. Ad esempio, in una Germania devastata dai conflitti sociali inevitabilmente susseguiti alla fine del Reich guglielmino, il 4 gennaio iniziò a Berlino la rivolta del filosovietico movimento spartachista, il cui fallimento fu segnato, il 15 gennaio, dal brutale assassinio dei suoi capi, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, ad opera di formazioni governative paramilitari; il 5 gennaio a Monaco di Baviera fu fondato il partito tedesco dei lavoratori, nazionalista e antisemita, che avrebbe successivamente assunto il nome di partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi.
Intanto, mentre il 16 gennaio negli Stati Uniti veniva approvato il XVIII emendamento alla Costituzione, che vietava produzione e commercio di bevande alcoliche, dando inizio all’ingloriosa era del proibizionismo, il 18 gennaio cominciò a Versailles la conferenza di pace, che avrebbe provocato tanti scontenti, ovviamente tra i vinti (già si è detto di una Germania che si sentiva “pugnalata alle spalle”), ma anche tra i vincitori, in primo luogo l’Italia, che presto si ritenne fortemente defraudata rispetto alle aspettative riposte a suo tempo nell’intervento a fianco dell’Intesa. Anche la politica italiana aveva bisogno di nuovi punti di riferimento, che, da una parte o dall’altra, dessero uno scossone ai governanti del centro liberale, in sella praticamente da sempre, i quali volevano forse illudersi che si potesse continuare a reggere il paese con le stesse ricette di prima. Lo stesso giorno dell’inizio della conferenza parigina, da Roma un sacerdote siciliano, Luigi Sturzo, lanciò l’appello “a tutti gli uomini liberi e forti”, ponendo le basi per la fondazione del partito popolare, destinato a raccogliere il consenso dei moderati di area cattolica.