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1. Con tanti occhi puntati addosso, e tante aspettative su di essa riposte, la Corte costituzionale è riuscita a ristabilire un clima più disteso all’interno delle relazioni industriali italiane, avviando a conclusione la lunga controversia “Fiom vs. Fiat” con il riconoscimento del diritto a costituire rappresentanze sindacali aziendali in capo anche alle associazioni sindacali che: “pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.
Appare però chiaro a tutti che la soluzione dello spinoso caso giudiziario è un esito non destinato a consolidarsi in una regola generale e univoca. La sentenza, al contrario, traccia “sentieri” di riflessione per una rimeditazione complessiva degli stessi cardini del sistema italiano di relazioni industriali. E non solo: l’impressione di molti è che dopo la sentenza si debbano aprire “cantieri”, per finalmente regolamentare in modo definito i criteri della rappresentatività sindacale; per disegnare la cornice minima, ma certa, della legittimazione giuridica degli attori sociali che partecipano al governo delle relazioni economico-sociali, specie a livello aziendale.
E l’art. 19 dello Statuto riletto oggi – ancora una volta – dalla Corte costituzionale appare un nastro ideale da tagliare per inaugurare questi possibili cantieri, dal momento che tale disposizione ha sempre, esattamente svolto – tra le altre – un’indubbia funzione di compensazione dell’assenza di una legge sulla rappresentanza sindacale. Ciò attraverso un’originale forma di contaminazione tra legislazione statale (il riconoscimento dei diritti sindacali del titolo terzo) e ordinamento sindacale (con i rinvii alla rappresentatività e alla contrattazione collettiva, quali indici per riconoscere l’effettiva capacità dei sindacati di sostenere e regolare gli interessi del lavoro)