Se il legislatore latita, la Corte costituzionale ne approfitta per fare il bello e il cattivo tempo

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1. L’esclusione della Fiom dalle aziende del gruppo Fiat è stata sì riassorbita a seguito di Corte cost. 23 luglio 2013 n. 231, con una loro riammissione all’interno del nuovo “ordine contrattuale”, peraltro rimasto com’era stato pensato e realizzato, auto-concluso ed auto-sufficiente; ma non senza lasciare dietro di sé un’eredità pesante destinata a condizionare il già precario equilibrio del nostro sistema di relazioni collettive.

È già significativo che la Fiom – il sindacato per antonomasia fino a apparire mitico, radicato nella categoria metalmeccanica rimasta decisiva, tanto forte e combattivo da poter sfidare la stessa Cgil – abbia perso i referendum di Pomigliano e di Mirafiori e abbia dovuto chiamare in suo aiuto il giudice nello stesso centro del suo passato potere. Ma è ancor più significativo, se pur meno appariscente, che la Confindustria – la confederazione datoriale per eccellenza fino a risultare quasi unica, insediata nel settore industriale restato strategico, tanto rilevante e autorevole da essere assunta come interlocutrice privilegiata se non sostanzialmente esclusiva nella dialettica interconfederale e nella concertazione – abbia dovuto subire l’abbandono da parte della sua affiliata numero uno.

Questa è solo l’espressione più emblematica di una mutazione profonda ed irreversibile, maturata lentamente ma esplosa improvvisamente, dovuta alla pressione combinata e cumulativa di forze che hanno agito sulla nostra struttura economica e struttura istituzionale. Forze, queste, tanto note e dibattute da poter essere qui semplicemente evocate nella loro versione corrente: la globalizzazione, con la sua ricaduta sui costi diretti ed indiretti del lavoro, e la partecipazione alla Ue, con la sua stretta sui margini del deficit e del debito pubblico.

Quel che qui interessa è sottolineare come una tale mutazione sia stata accompagnata da una progressiva obsolescenza del diritto statutario, costruito e raffinato nel corso di un ventennio, con un mercato ancora relativamente protetto ed uno Stato ancora sufficientemente autonomo; per poi deperire e svanire, sì da esserci restituito oggi privo di quelli che costituivano i supporti delle sue due anime, promozionale e costituzionale: l’art. 19 St., amputato dal referendum del 1995 al punto di renderlo del tutto irriconoscibile, e l’art. 18 St., sopravvissuto a fatica al passaggio del secolo per essere poi snaturato dalla l.n. 92/2012. Era ben evidente fin dal varo dello Statuto, nel passaggio dal decennio ’60 al ’70 segnato dall’intreccio fra conflitto sociale e terrorismo, il nesso esistente fra un art. 19 che permetteva la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ed un art. 18 che garantiva la c.d. tutela reale ai lavoratori, dato dall’ambito applicativo, cioè dalla fatidica soglia di più di quindici dipendenti per unità produttiva…….