La (a)causalità del contratto a termine in Europa. Riflessioni comparative sulle novità in Italia

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Sommario: 1. Premessa: oggetto e scopo dell’indagine. 2. I presupposti per la valida apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato in Italia: breve ricognizione diacronica. 3. La cornice europea. 3.1. La “causalità” del termine come regola: Francia, Spagna, Finlandia e Norvegia. 3.2. La “causalità” del termine come regola soggetta a (rilevanti) eccezioni: Germania e Svezia. 3.3. La “acausalità” del termine come regola: Irlanda, Gran Bretagna e Olanda. 4. Conclusioni.

1. Premessa: oggetto e scopo dell’indagine

Come suggerito dal titolo, il presente saggio intende indagare e confrontare le soluzioni di alcuni dei principali Paesi europei in materia di lavoro a termine1 , nel loro processo di adeguamento alla dir. 1999/70/CE2 e nella fase, tutt’ora in corso, di – eventuale – “risposta” agli stimoli, anche “esterni”, frutto della crisi globale e dei suoi effetti sull’occupazione. L’approfondimento in chiave comparata risulterà utile per meglio comprendere le profonde modifiche che hanno recentemente investito l’istituto in Italia e che hanno comportato, come verrà in seguito illustrato, il passaggio da un sistema legato alla sussistenza di ragioni obiettive per la valida apposizione del termine, salvo eccezioni, ad un regime di limitazioni di tipo quantitativo, legate a parametri individuali (durata complessiva del rapporto e numero di proroghe ammesse) e collettivi (percentuale di forza lavoro impiegata a tempo determinato dallo stesso datore di lavoro).
Se la c.d. “acausalità” dell’assunzione a tempo determinato costituisce oggi la regola nel nostro Paese, oltremodo interessante potrà apparire l’approfondimento avente ad oggetto gli ordinamenti che accolgono una prospettiva analoga, senza trascurare i sistemi che presentano soluzioni più affini alla previgente disciplina nazionale, nella comune esigenza, derivante dalla cornice europea (la quale esula, tuttavia, dal circoscritto campo di indagine del presente lavoro), di scongiurare gli abusi nella successione di rapporti a termine e di promuovere, pur con incerta convinzione, le forme di impiego sine die.