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Sommario: 1. Il (ridotto) coinvolgimento delle parti sociali, le politiche di flexicurity e Europa 2020. 2. I riferimenti diretti all’ordinamento dell’Unione europea (ed all’ordinamento internazionale) nella l. 183/2014 e nei decreti legislativi. 3. Segue. Il lavoro sommerso. 4. Segue. La semplificazione delle tipologie contrattuali. 5. Segue. La promozione del contratto a tempo indeterminato ed il lavoro a termine (rinvio). 6. Gli ulteriori profili di intersezione con l’ordinamento eurounitario e con l’ordinamento internazionale: la tutela della genitorialità, la conciliazione tempi di vita/tempi di lavoro e (soprattutto) la disciplina dei licenziamenti.
1. Il (ridotto) coinvolgimento delle parti sociali, le politiche di flexicurity e Europa 2020
Per affrontare il discorso delle interrelazioni fra il c.d. Jobs Act e gli ordinamenti sovranazionali, si possono prediligere varie strade ed occuparsi di diversi istituti. In questo contesto, però, scelgo di concentrare l’attenzione su quei profili che sono maggiormente collegati alle politiche di flexicurity, cui si ispira più o meno direttamente il Jobs Act, e che costituiscono i principali “nodi” da sciogliere.
Anzitutto, occorre segnalare una questione di tecnica regolativa. Nella l. 183/2014 e nei decreti attuativi manca qualsiasi riferimento al coinvolgimento delle parti sociali1 , che, al contrario, è considerato un elemento indispensabile o quantomeno auspicabile dagli stessi documenti europei cui i provvedimenti interni si ispirano. Persino alcuni atti delle istituzioni della c.d. Trojka2 segnalano questa necessità/opportunità. Mi riferisco al primo documento in materia di flexicurity, la Comunicazione della Commissione del 27 giugno 20073 , la quale, da un lato, suggerisce “che si potrebbe avviare un dialogo nazionale con i rappresentanti dei datori di lavoro, dei lavoratori, del governo e di altre parti con il compito di formulare una serie di approcci politici o di negoziare un pacchetto di misure”; dall’altro, afferma in maniera più perentoria che “il coinvolgimento attivo delle parti sociali è la chiave per far sì che la flessicurezza vada a vantaggio di tutti” e che “l’esperienza insegna che un approccio di partenariato è il più idoneo per sviluppare una politica di flessicurezza”. Quanto detto dalla Commissione è rimarcato dal Parlamento europeo nella Risoluzione del 29 novembre 2007 su Principi comuni di flessicurezza, nella quale a più riprese si sottolinea la necessità di affrontare i problemi del mercato del lavoro “sulla base di un dialogo trasparente tra le parti sociali e gli altri attori interessati” ed attraverso l’“attuazione di percorsi nazionali in stretta collaborazione con le parti sociali”. Il Parlamento europeo poi “invita a rafforzare i sistemi di relazioni industriali a livello comunitario e nazionale, quale strumento per il raggiungimento e l’attuazione di politiche di flessicurezza che siano equilibrate”. Infine, anche il Consiglio (attraverso le Conclusioni del 6 dicembre 2007) punta sulla centralità del ruolo delle parti sociali, affermando che, “benché le autorità pubbliche continuino a detenere una responsabilità generale, un’importanza decisiva riveste il coinvolgimento delle parti sociali nell’elaborazione ed attuazione delle politiche di flessicurezza attraverso il dialogo sociale e la contrattazione collettiva”.