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Sommario: 1. Premessa. 2. La nozione di azienda. 3. La nozione di ramo d’azienda. 4. La nozione di trasferimento. 5. La procedura per il trasferimento d’azienda. 6. Le conseguenze sui rapporti individuali di lavoro. 7. Il rilievo della volontà delle parti. 8. La responsabilità solidale. 9.Trasferimento d’azienda e contratto collettivo. 10. Il trasferimento d’azienda ed il diritto del lavoro che cambia.
1. Premessa
La disciplina che sancisce la tendenziale insensibilità dei rapporti di lavoro alle vicende circolatorie dell’azienda – l’art. 2112 c.c. – è il punto di intersezione di molteplici piani: quello del dialogo tra ordinamento interno ed europeo, tra fonti collettive ed individuali, tra legislatori e giudici fino ad arrivare a toccare anche il rapporto tra discipline dettate da diritti che si ritengono speciali1. Per questo si può sin da subito affermare che la trattazione dei profili giuslavoristici del trasferimento d’azienda si muove su una strada tortuosa ed in salita. E non tanto per la disciplina che, seppure oggetto di plurimi interventi del legislatore, è tutto sommato lineare e di agevole applicazione. Le difficoltà si incontrano a monte, quando, cioè, ci si interroga sulla fattispecie trasferimento di azienda.
Le nozioni di azienda e di parte di essa sono, infatti, al centro di un vero e proprio conflitto interpretativo, che poggia su un diverso appoggio ideologico alla problematica. Ad una forza centripeta – che tende ad allargare quanto più possibile il perimetro di applicazione della norma e farvi gravitare ogni ipotesi di mutamento nella titolarità di un’entità economica – si contrappone con sempre maggiore frequenza una tendenza centrifuga che, invece, tenta di svuotare la fattispecie e/o restringerne l’ambito di operatività. Le due forze contrapposte, che palesano precisi obiettivi finalistici, derivano dal fatto, ormai comunemente riconosciuto2, che la norma – nata con il fine, espresso anche nella rubrica novellata nel 2001, di tutelare il lavoratore coinvolto nel mutamento di titolarità dell’azienda – ha subito in fase di applicazione una sorta di torsione3 che rischia, almeno a detta di alcuni ed in talune situazioni4, di alterarne il segno garantistico fino a farne precetto potenzialmente pregiudizievole per i lavoratori. Infatti, se da una parte l’art. 2112 c.c.
nasce con lo scopo di garantire al lavoratore ceduto la continuità del rapporto e la sua tendenziale impermeabilità alla vicenda societaria, dall’altra può diventare il veicolo con cui il datore di lavoro, liberandosi dell’azienda o, più spesso, di parte di essa, espelle lavoratori senza dover passare attraverso la procedura di licenziamento, e quindi a costo zero5. La questione della ritenuta eterogenesi dei fini deriva da una presunta antinomia tra il disposto con cui apre l’art. 2112 co. 1 c.c. –“il rapporto di lavoro continua con il cessionario” – e la regola generale dettata in tema di cessione del contratto dall’art. 1406 c.c. che subordina la modifica soggettiva al consenso del contraente ceduto.