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1. L’idea di una regolazione dei rapporti di lavoro a livello internazionale precede la fondazione dell’OIL e le sfide che la globalizzazione ha lanciato ai sistemi nazionali di diritto del lavoro nel corso del Novecento. Difatti, la matrice del diritto internazionale del lavoro è tipicamente “industriale”. Nel 1818 Robert Owen, imprenditore e sindacalista gallese, pensava che “tutti i paesi dovrebbero proteggere la nuova classe lavoratrice dalle cause che perpetuamente generano misera nella umana società”, e dopo di lui Daniel Legrand, industriale e filantropo svizzero si appellava ai governanti europei sostenendo che la regolazione internazionale del lavoro rappresentasse una pratica soluzione al dilemma posto ai paesi industriali intenzionati ad adottare misure di tutela dei propri lavoratori ma esposti, in tal modo, ad una distruttiva concorrenza straniera. Ma è solo con il nuovo secolo che una serie di accordi internazionali, culminati con la conferenza di Berna del 1917, gettano le basi per l’adozione, avvenuta con il Trattato di Versailles, di un’istituzione internazionale del lavoro, riconoscendo in essa, ben prima della nascita delle Nazioni Unite, il patrimonio di idee e principi fondativi per edificare una “società giusta”, o meglio per perseguire l’ideale di una “giustizia sociale” universale.
Nonostante l’intrinseca debolezza costituzionale, dovuta alla mancanza in quel corpo legislativo di una reale forza vincolante, condizionata, come è noto, al meccanismo della ratifica delle Convenzioni da parte degli Stati membri, l’azione normativa dell’OIL si concretizzò in un mandato tripartito efficace e prolifico, capace di adottare, nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali, ben 67 Convenzioni e 66 Raccomandazioni, raccolte e pubblicate nel 1939 con il primo “Codice internazionale del lavoro”. In questa fase storica, caratterizzata da una profonda instabilità geopolitica, economica e sociale, l’OIL contribuirà al consolidamento del diritto del lavoro come disciplina autonoma, sia sul piano delle legislazioni nazionali sia in una prospettiva di universalizzazione dei diritti sociali. La messa in opera della Convenzioni, infatti, da un lato ha posto, come spesso avviene nell’ambito degli atti delle organizzazioni internazionali, una base utile per l’adozione delle legislazioni nazionali, conferendo una nuova legittimazione ai sistemi di diritto del lavoro, dall’altro ha rappresentato una chiara manifestazione della portata universale dei valori sociali; e ciò nella misura in cui la vocazione delle norme internazionali è di essere applicabili a tutte le latitudini quale sia lo stadio di sviluppo economico dei paesi interessati, pur prevedendosi strumenti (come le clausole di souplesse) volti a facilitare l’applicazione graduale delle Convenzioni, le quali fungono, al contempo, da obiettivo di sviluppo sociale per i paesi del Terzo Mondo e soglia di protezione minima inderogabile per i sistemi più avanzati.