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1. Nel rispondere al quesito sull’applicabilità ai dipendenti pubblici dell’art. 18 legge 300/70, riformato dalla legge 92/2012, c’è il rischio di essere condizionati dall’istintivo rifiuto di assistere all’ennesimo intervento del legislatore, che scarica i costi della crisi solo sui lavoratori privati, risparmiando, immeritatamente, i dipendenti pubblici. E l’impulso diventa incontenibile quando il salvacondotto viene assicurato attraverso previsioni oscure e contorte, quali indubbiamente sono i commi 7 e 8 dell’art. 1 della ricordata legge 92/2012. L’ambiguità si manifesta con una sequenza nella quale il legislatore prima rassicura che i dipendenti pubblici verranno trattati come i dipendenti privati avvertendo che “le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” e poi immediatamente arretra da tale proposito, rinviando a una successiva e indeterminata “iniziativa normativa” l’armonizzazione tra privati e pubblici. I timori di un salvataggio a oltranza si sono rivelati fondati: tant’è vero che, a quattro anni di distanza, l’intervento di armonizzazione non si è visto.
Le resistenze ad avallare privilegi sono assolutamente comprensibili e condivisibili; tuttavia gli sforzi ricostruttivi in funzione di una totale parificazione tra pubblico e privato, in questo ambito, sono destinati a infrangersi al cospetto di almeno tre ordini di motivi:
a) anzitutto il tenore letterale dei commi 7 e 8 dell’art. 1 della legge 92/2012: per quanto tortuose e per giunta contraddittorie, le due disposizioni esprimono la sostanziale volontà di sottrarre i dipendenti pubblici all’applicazione dell’art. 18 come riformato nel 2012;
b) la soluzione della (co)vigenza di due versioni dell’art. 18 della legge 300/70 risulta praticabile anche sulla base dell’istituto dell’“abrogazione parziale” (sebbene circoscritto all’ambito di applicazione) di una legge da parte della legge successiva;
c) militano, infine, per la tesi contraria a rendere omogenei i due settori,
ragioni di ordine logico-sistematico, alcune efficacemente ricostruite da recenti pronunce della Cassazione1
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