Docenza universitaria e astensione dal lavoro

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Sommario: 1. Lo sciopero come strumento di lotta all’austerità. 2. La legittimità della proclamazione nell’analisi della Commissione di garanzia. 2.1. La legge finanziaria 2018 e le risposte normative allo sciopero. 3. Nel vivo del dibattito tra individuale e collettivo. 3.1. Rappresentatività e conflitto. 4. Una goccia nell’oceano?

1. Lo sciopero come strumento di lotta all’austerità 

L’astensione dei docenti universitari, della quale si fa questione, si è fondata sulla rivendicazione di un provvedimento normativo grazie al quale “le classi e gli scatti stipendiali dei Professori e dei Ricercatori universitari e dei ricercatori degli enti di ricerca italiani aventi pari stato giuridico (…) vengano sbloccati a partire dal 1° gennaio 2015, anziché, come è attualmente, dal 1° gennaio 2016”, che, inoltre, “il quadriennio 2011-2014 sia riconosciuto ai fini giuridici, con conseguenti effetti economici solo a partire dallo sblocco delle classi e degli scatti dal 1° gennaio 2015”1. Il blocco stipendiale si colloca nell’ambito della lunga lista di provvedimenti di contenimento della spesa pubblica che trovano fondamento nella pesante crisi economica degli ultimi anni2 , la “compressione delle dinamiche salariali” nel lavoro pubblico sta, infatti, alla base delle politiche di austerità3; la legislazione della crisi ha un impatto non irrilevante sulle vicende del lavoro pubblico: il condizionamento dei limiti di bilancio è giunto a investire non già i diritti sociali a prestazione o un diritto sociale a contenuto patrimoniale quale è la retribuzione ma anche la libertà sindacale riconosciuta dall’art. 39, co. 1 Cost. 
Si afferma, dunque, il tema del rapporto tra diritti sociali (intesi in senso lato) e compatibilità economiche, un terreno che è stato “arato incessantemente dalla Corte costituzionale in questi sessanta anni”: “le sentenze sui diritti sociali sono frequentemente rivelatrici di un metodo, utile all’emersione e poi al consolidamento di alcune priorità nelle scelte compiute dal legislatore, priorità che le ragioni economiche possono ridimensionare o ridisegnare”4. Si pensi, in particolare, al blocco della contrattazione nazionale nel lavoro pubblico che ha trovato argine nella sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2015 n. 178. Quest’ultima ha rivelato che il carattere prolungato del blocco contrattuale sconfina in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale, esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa. La Corte arriva a sostenere, invero, che il sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall’art. 39 Cost. “non è più tollerabile”5. Era stata fatta valere, nell’occasione, “implicitamente ma chiaramente” una “equiordinazione tra il diritto alla giusta retribuzione e quello alla contrattazione collettiva” in rapporto al principio del pareggio di bilancio6