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1. Il decreto-legge 20 settembre 2015 n. 146 (“Misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione”) è un classico esempio di intervento autoritario nella delicata materia dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. Il Governo lo ha emanato in fretta e furia sull’enorme onda emotiva sollevata dal blocco dell’accesso al Colosseo per un’assemblea del personale (ma un episodio del genere si era già verificato agli Scavi di Pompei alcuni mesi or sono). E poco importa, come si dirà più avanti, che tale decreto sia stato convertito, con una singolare integrazione (vale a dire premettendo, all’unico articolo del decreto, il bizzarro cappello dell’articolo “zerouno”), nella legge 12 novembre 2015 n. 182. Tanto per cominciare: è vero che, ai fini della continuità di un servizio pubblico, è irrilevante che il blocco sia dovuto a uno sciopero o a un’assemblea, ma è anche vero che, nel caso di specie, l’assemblea era stata regolarmente autorizzata – quindi ovviamente con tanto di preavviso – e solo la superficialità delle notizie di stampa l’aveva equiparata a uno “sciopero improvviso” suscitando l’imbarazzo e l’ira del Governo. Il quale, servendosi del decreto-legge, non si è lasciata sfuggire l’occasione di intervenire a gamba tesa: una ferma e tempestiva reazione politica.
A scanso di ogni equivoco, che può nascere facilmente dalla strumentale confusione governativa tra “politica” e “diritto”, va detto anzitutto che il blocco in questione è apparso ai più – e pure a chi scrive – irrazionale e privo di quel minimo di buon senso che dovrebbe sempre guidare ogni azione di lotta sindacale. A prescindere dalle regole giuridiche! È il caso anzi di ricordare che appunto razionalità e buon senso sono alla base di quella zione”. Che fa parte, per tradizione, della migliore storia sindacale da quando i lavoratori e le loro rappresentanze hanno considerato il riconoscimento, da parte dei cittadini, della giustezza delle proprie rivendicazioni un requisito importante di qualsiasi lotta sociale. Tanto da “autolimitare”, nei servizi pubblici, le loro azioni collettive di pressione, onde contenerne i danni ai cittadini e agli utenti (i quali in gran parte sono anch’essi lavoratori dipendenti e non si possono permettere costosi servizi privati alternativi). È chiaro allora che bloccare in piena estate l’accesso di tanti visitatori, e specie di turisti stranieri, a un sito archeologico di rilevanza mondiale, è a dir poco impopolare – visto che il turismo viene considerato ormai il settore trainante dell’economia del nostro paese – ed è perciò irrazionale. Se non altro perché, invece di conseguire risultati utili alla causa della protesta, suscita riprovazione diffusa e si trasforma in un boomerang per gli stessi lavoratori, non a caso additati unanimemente come irresponsabili dall’opinione pubblica, montata dai mass media, e meritevoli perciò di una risposta da parte di un Governo che ama presentarsi come un’autorità che decide con fermezza e rapidità (appunto: per decreto-legge).