Il “nuovo” giuslavorista*

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1. Confesso di aver fatto una discreta fatica, non so quanto coronata da successo, nel ricercare uno spunto unificante adatto a introdurre un convegno che, dai temi che mette in campo, rivela una qualche ambizione di originalità. L’originalità la vedo non soltanto nel fatto di trattare insieme la dimensione accademica, giudiziaria e professionale del compito del giuslavorista, ma nel porre al centro di questa riflessione la figura del giuslavorista, del “nuovo giuslavorista”. Nuovo, evidentemente, perché trasformata, rinnovata – in meglio o in peggio, a seconda dei punti di vista – è la materia della quale il giuslavorista si occupa, ai limiti dell’identificazione con essa. Ed è ovvio che quando qualcosa con la quale ci si è identificati intensamente per anni, ogni santo giorno, muta dinanzi ai nostri occhi, il meno che ci possa accadere è di sentire messa in discussione la nostra identità. È proprio di questo che siamo qui a parlare. Di noi stessi, più che della materia. O della materia per parlare di noi stessi. Le crisi di identità – vada per questo termine anni ’70 – possono provocare, a loro volta, reazioni di vario genere. Si può reagire con aggressività, con distacco, con superiorità, con rabbia, con depressione, con nostalgia, o anche con il tentativo caparbio di mettere le briglie alla nuova realtà che emerge, con la speranza di riprenderne possesso.

Atteggiamenti diversi, dei quali chiunque potrebbe trovare riscontri nell’esperienza e nelle esternazioni dei giuslavoristi nell’epoca della crisi del diritto del lavoro. Una crisi peraltro vissuta, per lo più, in un’accezione negativa (quando non drammatica) e dunque in qualche misura disconoscendo la stessa etimologia della parola, nella sua derivazione dal greco krino, che rimanda a un salto di qualità dell’intelletto, a un nuovo giudizio, a un nuovo pensiero. Ma quando riusciamo ad affrancarci dall’appiattimento sul presente e dalle discussioni di corto respiro, tendenzialmente irrigidite dal codice binario ragione/torto, cui esso ci costringe, e ritroviamo il senso della prospettiva storica – di quella storia che del diritto del lavoro è stata la levatrice può accadere di pensare, almeno a chi scrive, che la vera verità è che non sappiamo dove stiamo andando. Magari ci diciamo, invece, che lo sappiamo, perché anche se la nuova meta – ad esempio il ritorno all’800, molto gettonata tra i giuslavoristi, perché dà l’idea precisa del rovesciamento del progresso in regresso non ci piace, pensare di andare verso un futuro ignoto ci piace ancora di meno, perché aggiunge un quid di ansia narcisistica, per il timore che ne escano smentite, retrospettivamente, le nostre precedenti certezze. Eppure, quel futuro potrebbe anche riservarci sorprese, delle quali potremmo essere curiosi. La stessa riproduzione, nella brochure di questo incontro, de Il viandante sul mare di nebbia di Caspar Friedrich, può forse ispirarci a scorgere, nello sguardo alquanto smarrito dell’odierno giuslavorista, un’incertezza, certo, ma anche i barlumi di un interesse, e forse persino di una fascinazione, per quello che ci attende.

* È il testo dell’intervento introduttivo fatto al convegno svoltosi a Roma il 26 maggio 2016, per iniziativa del gruppo Freccia Rossa, sul tema “Il nuovo giuslavorista”. […]