Il rapporto previdenziale dei collaboratori etero-organizzati

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Sommario: 1. L’art. 2, d.lgs. 81/2015, e il problema previdenziale. 2. La soluzione dei giudici e l’applicazione degli enti previdenziali. 3. La soluzione prevalente in dottrina e i suoi argomenti. 4. Una tesi sull’estensione del rapporto previdenziale del lavoro subordinato, a partire dal bisogno previdenziale.

1. L’art. 2, d.lgs. 81/2015, e il problema previdenziale

Alla riflessione scientifica sull’art. 2, d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81, è apparsa subito problematica la questione del se “ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente si applica”, oltre che “la disciplina del rapporto di lavoro subordinato” come dice la disposizione, anche la disciplina del rapporto di lavoro subordinato per quanto attiene ai profili previdenziali, sulla cui estensione, invece, il legislatore non dice nulla1. Il tema, come si sa, si è posto, per tutti e due i profili, quale sviluppo della tesi che ricostruisce l’art. 2 nei termini di norma di disciplina che non muta la natura autonoma di specie coordinata della collaborazione2. Tesi che, pure si sa, anche la Cassazione oggi propone3. Da una parte, escludendo che la norma incida sul tipo della subordinazione allargandone l’ambito4 o sul tipo dell’autonomia istituendo un terzo genus5 e affermando, all’opposto, che, in funzione rimediale, essa estende le regole della subordinazione a rapporti che, pur avendo un’identità giuridica diversa, presentano le medesime istanze di tutela. Dall’altra parte, e parallelamente, riconducendo il rapporto di collaborazione etero-organizzata all’autonomia di specie coordinata (parasubordinazione), sul presupposto della rilevanza autonoma dell’etero-organizzazione sia rispetto all’etero-direzione (subordinazione) sia rispetto al coordinamento (ex art. 409, n. 3, c.p.c.)6.