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Sommario: 1. Diritti sociali e recenti tendenze: alla ricerca di una tutela internazionale (nella Cse). 2. L’indifferenza verso la Cse e le decisioni del Ceds. Critica. 3. Diritti sociali e crisi economica: il punto di vista del Ceds. 4. Il salario minimo nella Cse e nella “giurisprudenza” del Ceds. 5. Conclusioni.
1. Diritti sociali e recenti tendenze: alla ricerca di una tutela internazionale (nella Cse)
La devastante crisi economica ancora oggi in corso ha determinato la rottura degli schemi tipici di tutela dei diritti sociali in Europa. La tradizionale protezione offerta dagli ordinamenti nazionali, fondata su standards ben più elevati di quelli propri delle norme delle convenzioni internazionali, ha subito un netto arretramento in conseguenza dell’utilizzo dei diritti sociali come leva di intervento sulla contingenza economica. Si faccia attenzione però: con questo non si intende dire che le riforme regressive nella tutela della dimensione sociale siano state misure indispensabili per favorire la ripresa e quindi una conseguenza ineluttabile della crisi. Quest’ultima ha piuttosto fornito l’occasione per dare attuazione a quegli interventi (su pensioni, spesa pubblica in generale, contrattazione collettiva, contratti di lavoro, licenziamenti, orario di lavoro, retribuzioni) da tempo pretesi da quel pensiero neoliberista che oramai sembra aver preso il sopravvento nella “stanza dei bottoni”. I dogmi della sostenibilità finanziaria del welfare e della competitività del sistema-paese sono divenuti i principi ispiratori delle riforme anti-crisi, mentre è stata rinviata sine die l’adozione di politiche di contrasto alle diseguaglianze sociali1 (senz’altro acuitesi dal 2007 ad oggi). L’esito è che l’intero peso della crisi ha finito per essere scaricato sulle fasce più deboli della popolazione, quelle cioè più esposte agli effetti dell’arretramento dello Stato sociale e della
protezione del contraente debole nel (per natura asimmetrico) rapporto di lavoro.
In questo contesto, l’abbassamento del livello di tutela “interna” ha generato la tendenza a riprendere in mano le fonti “esterne” – a lungo dimenticate in Europa in virtù del summenzionato maggior valore protettivo del diritto nazionale – per verificare se tale regressione si fosse spinta fino al punto di dar luogo a una violazione del parametro internazionale. Infatti, se fino a non molti anni fa il grado di garanzia riconosciuto dalle convenzioni costituiva una sorta di minimo comune denominatore (o forse anche qualcosa di meno) tra le tutele approntate nei Paesi dell’Europa occidentale, oggi, dopo le riforme della crisi, i sistemi di welfare e le legislazioni lavoristiche di molti di quegli Stati hanno sofferto una tale involuzione che si è posto, in non pochi casi, un problema di conformità ai vincoli internazionali. Sono poche le misure anti-crisi, in Italia come altrove, sulle quali non siano state sollevate perplessità in ordine alla compatibilità con gli impegni assunti sul piano internazionale. Le materie interessate da questo fenomeno sono state le più varie: dalla libertà sindacale alla salute, dalla sicurezza sociale ai licenziamenti.