Produttività e crescita

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Si cresce se si è più produttivi e, di conseguenza, maggiormente competitivi sui mercati aperti. Ma si cresce anche perché lo Stato fornisce servizi migliori con le stesse risorse. O uguali con meno. E dunque può destinare ciò che risparmia ad altre necessità, nell’interesse collettivo. Nel primo caso la produttività è misurabile attraverso i prezzi di mercato. Nel secondo caso è assai più complesso ma non impossibile se non calcolarla almeno intuirla. Qual è, tanto per fare un esempio, il prezzo della sicurezza garantita in una città? Nessuno può dirlo perché si traduce in una quota di libertà aggiuntiva (e di serenità operativa) che innalza la produttività, ovvero il reddito generale. La produttività di un sistema economico cresce anche grazie alla bontà delle relazioni sociali, favorite da un ambiente di legalità e sicurezza. Quanto vale tutto ciò? Qual è il prezzo della concordia civile? Non lo sappiamo. Intuibile ma non misurabile. Ma quando parliamo di produttività multifattoriale, che misura il grado di efficienza di un intero sistema – organizzazione, istruzione per esempio – non siamo molto lontani da tutto ciò. Analogamente, in parallelo, possiamo ragionare sul versante dei costi. Una giustizia lenta e incerta impoverisce le attività economiche perché le rende meno programmabili, esposte a rischi non prevedibili per i quali o si appostano dei fondi di garanzia al buio o ci si astiene dal correrli. La scelta di dove aprire un’azienda, avviare una produzione, è spesso strettamente legata al profilo di rischio personale di manager che, se stranieri, decidono dove sia meglio farsi giudicare. E il loro timore, specie sul versante penale anche quando non giustificato, diventa assai più decisivo di altre variabili. Investimenti cancellati dall’analisi algebrica delle opportunità e delle minacce (il cosiddetto sistema Swot analysis) non danneggiano solo i potenziali occupati e le loro famiglie ma intere e vaste comunità, private della ricaduta largata di un’attività economica. Non aprendosi una fabbrica o un ufficio non se ne avverte il danno, ma spesso è maggiore di una chiusura aziendale o di un licenziamento di massa. Questi costi non compaiono in nessun bilancio. Non determinano responsabilità facilmente individuabili e, dunque, chiamate a pagarne le conseguenze. Essendo rimasti sulla carta, non creano alcun allarme sociale. Le occasioni perdute non sono considerate dai decisori e dall’opinione pubblica allo stesso livello di gravità di un fallimento (termine peraltro espulso dal nostro ordinamento) o di una ristrutturazione dolorosa sul piano dell’occupazione.