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Una fabbrica, gruppi di operaie in agitazione, bandiere sindacali e striscioni a difesa dell’occupazione. Così si apre l’ultimo film di Michele Placido, Sette minuti, che porta sul grande schermo i problemi del lavoro, raccontando, con immagini che sembrano quasi di ieri, la precarietà nel lavoro di oggi, la paura del licenziamento, la quotidiana lotta per il mantenimento dei diritti.
E lo fa attraverso una storia, in parte tratta da una vicenda reale, di cui sono protagoniste dieci donne che devono decidere a quali tutele si può rinunciare per non perdere il lavoro, a quanti ricatti si può cedere per lavorare. Il film è interamente girato nella fabbrica, ma l’occhio della macchina da presa va ben oltre. Mostra un mercato del lavoro senza barriere, in cui i capitali si dirigono verso i lidi più convenienti, in cui il made in Italy deve resistere alla concorrenza del made in China (ma anche del made in Romania) in cui la minaccia della delocalizzazione induce a una continua riscrittura delle regole del lavoro volta a ridurre i costi (diretti e indiretti) nell’utilizzazione di manodopera. Mostra un lavoro con meno diritti e meno sicurezze, perché l’estensione dell’area del lavoro autonomo, semiautonomo e temporaneo, da un lato, e la riduzione delle tutele per il licenziamento illegittimo, dall’altro, hanno fatto venir meno la garanzia della stabilità del rapporto di lavoro e ridotto la forza contrattuale dei lavoratori. E mostra una condizione di precarietà penetrata anche nel lavoro subordinato “classico”, alimentato dalla paura della disoccupazione, che spinge l’individuo ad assecondare le richieste imprenditoriali, a non ribellarsi all’esercizio invasivo dei poteri datoriali, a rinunciare al ricorso all’azione collettiva per tutelare i propri diritti.
Mostra, insomma, gli squilibri nei rapporti di forza tra capitale e lavoro generati da politiche e regole che hanno “assecondato” fenomeni socio economici presentati come ontologici e ineluttabili, ma che in realtà non hanno nulla di inesorabile, se non le conseguenze che tali politiche stanno producendo sulla vita delle persone. Precarietà e insicurezza, che espongono al ricatto del lavoro non solo chi lo cerca, ma anche chi una occupazione la ha e farebbe di tutto per tenersela! Questo il ricatto che Placido mette in scena. In maniera così efficace e sentita che bastano le parole delle sue protagoniste a raccontarlo. Un Consiglio di fabbrica di un’azienda tessile del Lazio costituito da dieci delegate elette dalle trecento operaie che ne compongono l’organico, chiamato a votare eventuali proposte connesse all’acquisizione dell’impresa da parte di un colosso francese del settore. Con loro, in attesa dell’esito della riunione in cui la nuova dirigenza comunicherà le decisioni concernenti i rapporti di lavoro, lo spettro della riduzione di personale o della delocalizzazione della struttura produttiva e della chiusura totale della fabbrica….