Sul ruolo degli operatori giuridici in materia sindacale e del lavoro

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L’Ediesse ha mandato nelle librerie un’antologia che raccoglie scritti nei quali Umberto Romagnoli ha tracciato nell’arco degli ultimi lustri i profili di Giuristi del lavoro nel Novecento italiano. Sono più di una dozzina e coprono un ampio arco temporale, dai primi del secolo scorso ai giorni nostri. La ragion d’essere dell’antologia è legata principalmente alla singolarità del nostro diritto del lavoro e, segnatamente, del diritto sindacale. La storia di quest’ultimo infatti ha conservato la singolarità delle origini: più dottrinale che legislativa e più giurisprudenziale che dottrinale, è rimasta tale anche nel dopo-costituzione, nonostante la svolta compiuta con lo Statuto dei lavoratori. Per questo, sul suo processo formativo è stata (e sarà) tutt’altro che ininfluente l’attività dei ceti professionali appartenenti al circuito giudiziario, forense e universitario.
Col consenso dell’editore, pubblichiamo la premessa introduttiva del volume. “Poco si comprende del funzionamento dell’organizzazione gius-politica di un’epoca e di un paese”, scrisse Giovanni Tarello, “se non se ne conoscono gli operatori: tra questi, principalmente i giuristi”. Per questo, “una storia del diritto deve praticare il genere letterario della biografia intellettuale”1 . Giovanni Tarello lo praticò. Lo praticò con determinazione e lucidità per realizzare un progetto globale di rara difficoltà: quello di scrivere una storia della cultura giuridica contemporanea con l’intento di misurare peso e dimensioni della “componente di scelta, e implicitamente di scelta in senso lato politica, che è presente in ogni attività di interpretazione e/o applicazione di formule normative”2. L’innovativo pensatore genovese raccontava che il progetto gli si era affacciato nel 1966, accingendosi all’insegnamento universitario della Filosofia del diritto. Per certo, non perse tempo. L’anno successivo, infatti, darà alle stampe una prima prova tecnica, una ricerca di dettaglio, che prese la forma di un “libretto”, come lui stesso volle definirlo col tono disincantato che era
la sua cifra stilistica: Teorie e ideologie nel diritto sindacale. L’esperienza italiana dopo la Costituzione. Nel “libretto” è analizzata una singolare vicenda intellettuale. Singolare perché il diritto individuale e, specialmente, collettivo del lavoro nel secondo dopo-guerra era in larghissima misura un prodotto della creatività degli interpreti d’ogni ordine e grado, nonché di fonti regolative di incerta natura e/o legittimazione. Il successo dell’agile monografia dipese, come Tarello scriverà cinque anni più tardi, dalla temperie della stagione in cui la tesi centrale che vi era sostenuta venne resa pubblica: “un momento in cui la parte più viva della dottrina italiana aveva una grandissima voglia di sentirsi dire essere la propria attività di natura direttamente politica”3.